CALABRICITA’
LA CALABRIA
Si affaccia sul mar Tirreno a ovest, sul mar Ionio a est e a sud, e confina con la Basilicata a nord. Comprende le province di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia; capoluogo regionale è Catanzaro. Il nome della regione ha una storia singolare. Era chiamata nell’antichità Brutium, dal nome degli abitanti, mentre, sempre dal nome della popolazione, era denominata Calabria l’attuale penisola del Salento, in Puglia. Dopo la caduta dell’impero romano il nome Brutium cadde in disuso né fu mai più ripreso, probabilmente anche per la scarsa influenza esercitata dai bruzi, un popolo numericamente esiguo di pastori e di agricoltori seminomadi. Gli eventi storici, con il succedersi delle conquiste e delle perdite territoriali dei vari dominatori in Italia, portarono dapprima – a partire dal VII secolo – a chiamare col nome di Calabria sia la penisola salentina sia l’attuale penisola calabra; in seguito, con l’estendersi del termine di Apulia all’odierna Puglia, quello di Calabria rimase a indicare l’attuale regione. La Calabria forma una penisola, l’estrema diramazione della penisola italiana. Forse nessuna regione d’Italia ha una così marcata delimitazione fisica: su tre lati è circondata dal mare mentre a nord il confine è segnato dal massiccio del Pollino, il più imponente dell’Italia meridionale. TERRITORIO La posizione geografica è stata favorevole per la Calabria agli albori della sua storia quando, più di duemila anni or sono, i greci dominavano i commerci del mare Mediterraneo; in seguito la regione divenne essenzialmente terra di conquista. Infatti, a differenza di altre regioni marittime, come la Liguria, la Calabria non seppe mai trarre vantaggio dai suoi mari: lo conferma anche il fatto che ben quattro dei suoi cinque capoluoghi di provincia sono situati nell’interno. Sicuramente le caratteristiche fisiche della Calabria non sono particolarmente propizie. Più del 91% del suo territorio è formato da montagne e colline, queste ultime un poco più estese (49,3%). Le pianure (8,9%) sono limitate a fasce costiere, lunghe e strette, talvolta paludose. La regione è inoltre spesso soggetta all’attività sismica. In corrispondenza della Calabria la penisola italiana volge bruscamente il suo generale andamento, che è da nord-ovest a sud-est, verso sud-ovest, quasi a saldarsi con la vicina Sicilia: nel punto più stretto, in corrispondenza dello stretto di Messina, la coste calabre e quelle siciliane distano appena 3 km. I rilievi della Calabria includono a nord il versante meridionale del massiccio del Pollino (Serra Dolcedorme, 2267 m), con il quale termina l’Appennino lucano; al di là del solco segnato dal passo dello Scalone (740 m) inizia l’Appennino calabro. Questa sezione degli Appennini si distingue da tutte le altre sia per la natura delle rocce sia per la loro morfologia. Prevalgono infatti le formazioni cristalline, paleozoiche, del tutto diverse quindi da quelle, argillose e calcaree, dominanti negli Appennini. Il rilievo, inoltre, è caratterizzato da forme arrotondate se non da veri e propri altipiani; finisce di articolarsi in catene, presentandosi come successione di grandi blocchi a sé stanti. Nelle remote epoche geologiche i massicci calabri formavano delle isole, le cui rocce furono erose nel corso di circa 200 milioni di anni, saldate tra loro per il sovrapporsi di strati sedimentari. I due massicci più importanti ed elevati sono la Sila (che tocca i 1928 m) e l’Aspromonte (1955 m), situati rispettivamente sul lato orientale e meridionale della penisola calabra. Sul fronte occidentale, tirrenico, la Sila è orlata, al di là di un profondo solco, il Vallo (o valle) del Crati, dalla cresta dirupata della catena Costiera (chiamata anche catena Paolana, dal nome del centro più importante, Paola); lunga una settantina di chilometri, culmina nel monte Cocuzzo (1544 m) ma costituisce una specie di muraglia compatta che si mantiene sui 1100-1300 m di quota. Un’altra depressione chiude a sud la Sila, in corrispondenza del cosiddetto istmo calabro, una vera e propria strozzatura della penisola, largo appena 30 km, tra il golfo di Sant’Eufemia, sul mar Tirreno e il golfo di Squillace, sullo Ionio; al di là dell’istmo – chiaramente un antico braccio di mare – il suolo si rialza in una orlatura lunga una cinquantina di chilometri, chiamata Le Serre (monte Pecoraro, 1423 m), che giunge in prossimità dell’Aspromonte. Tra i massicci montuosi e le coste si distende una serie ininterrotta e irregolare di colline; costituite da rocce calcaree, sono profondamente incise dai corsi d’acqua che le dilavano in modo impetuoso durante le piene, dando luogo a frequenti e rovinosi fenomeni di erosione. Così ai profili tondeggianti delle zone di montagna, la Calabria contrappone pendii in genere ripidi, e soprattutto gravemente franosi, in quelle collinari. Le coste si sviluppano per 780 km; e, poiché la regione si allunga per circa 250 km, nessun punto della Calabria dista dal mare più di 50 km. Le coste tirreniche si arcuano nel golfo di Squillace e nel golfo di Gioia, che giunge sino allo stretto di Messina, e tra i quali si interpone il capo Vaticano; le coste ioniche hanno le principali rientranze nel golfo di Squillace e nel vasto golfo di Taranto, ripartito con la Basilicata e con la Puglia. Nonostante il rilevante sviluppo delle coste, che sul versante tirrenico si affacciano al mare con formazioni a terrazze, la regione non possiede nessun buon porto naturale. Le pianure costiere terminano in genere sul mare con un rialzo sabbioso o ghiaioso; nella fascia retrostante perciò i corsi d’acqua si impaludano e i suoli richiedono quindi opere di bonifica. Sul Tirreno le principali pianure prendono nome dai rispettivi golfi (piane di Sant’Eufemia e di Gioia); la più vasta area pianeggiante è affacciata però sullo Ionio, ed è precisamente la piana di Sibari (180 kmq), formata dalle alluvioni del fiume Crati e del suo affluente Coscile. La pianura deriva il nome da una fiorente città fondata dai greci nell’VIII secolo a.C. Il Crati (81 km di lunghezza; 1470 kmq di bacino) è l’unico fiume della Calabria: nasce nella Sila e sfocia nella costa ionica dopo aver attraversato la piana di Sibari. Gli altri corsi d’acqua non solo hanno bacini limitati ma sono tutti soggetti a uno spiccato regime torrentizio, in quanto alimentati solo dalle piogge, e alternano assolute magre estive a brevi e rovinose piene tardo invernali-primaverili. A questo tipo di regime si connette la formazione delle cosiddette “fiumare”, i larghi greti ghiaiosi che formano il fondo delle valli, che dai rilievi interni scendono verso il mare. Completamente asciutte o al massimo ridotte a esigui rigagnoli per gran parte dell’anno, le fiumare durante le piene – perlopiù all’inizio della primavera – si riempiono all’improvviso d’acqua, scorrono con grande velocità, vorticose di ciottoli e sfasciumi strappati dai monti, frequentemente inondando i terreni circostanti in basso, distruggendo coltivazioni e manufatti. La Calabria non ha laghi naturali; qualche bacino artificiale (di Arvo, di Ampollino ecc.) è stato creato con sbarramenti di corsi d’acqua sulla Sila.
CLIMA E AMBIENTE
Dal punto di vista climatico la Calabria, regione pienamente mediterranea, presenta alcune anomalie rispetto alle caratteristiche che essa dovrebbe avere, considerando la posizione geografica e l’accentuato carattere marittimo. È l’elevata e prevalente montuosità del territorio, che racchiude alcune conche isolate dalle correnti aeree, a determinare in molte zone situazioni del tutto particolari. La Calabria ha due stagioni ben differenziate: un inverno anche rigido e umido, un’estate nettamente calda e asciutta. L’influsso marittimo, che fa sentire i suoi effetti prevalentemente lungo la costa, si esaurisce via via che si procede nell’entroterra, data la vicinanza dei rilievi al mare: la valle del Crati, per esempio, ha temperature estive costantemente molto elevate. Tuttavia la media estiva in gran parte della Calabria si aggira sui 24 °C. È soprattutto d’inverno che sono veramente marcate le differenze. Mentre sulle coste la media di gennaio è sui 10 °C, nelle zone interne, su quasi metà della regione, addirittura non supera i 4 °C, che, al di sopra dei 1500 metri di quota sulla Sila e dei 1700 metri sull’Aspromonte, scendono con facilità al di sotto dello zero. Il rilievo tuttavia esercita un influsso ancora più significativo sulla piovosità; in modo abbastanza netto si oppongono pianure costiere aride a zone montuose interne con precipitazioni frequentemente copiose, e soprattutto un versante, quello occidentale, con piogge tra le più abbondanti dell’Italia peninsulare, in contrasto con quello orientale, molto arido. In tutta l’area volta al mar Tirreno i monti esercitano una determinante azione di cattura delle correnti umide di origine atlantica. Nella catena Costiera e nell’Aspromonte si toccano e persino si possono superare i 2000 mm annui di precipitazioni che, concentrandosi nell’inverno, fanno della Calabria la regione con più intensa caduta nevosa dell’Italia meridionale. Per contro tutta la fascia orientale, ionica, si colloca tra i 600 e i 1000 mm annui, con valori anche più bassi nelle aree pianeggianti, per esempio nella piana di Sibari. L’ambiente naturale presenta situazioni di degrado anche molto gravi. Anzitutto l’abbattimento selvaggio, attraverso i secoli, dei boschi montani, dai quali la regione era fittamente ricoperta, ha esposto i ripidi versanti, denudati dalle piogge, al dilavamento franoso dei terreni con crescente facilità; in secondo luogo la stessa secolare incuria nella regolamentazione dei corsi d’acqua ha favorito l’impaludamento delle pianure alle loro foci. Di recente, particolarmente tra gli anni Settanta e Ottanta, si è avuto un vero e proprio assalto alle coste, in parte legato a un turismo assolutamente incontrollato, in parte al crescente spostamento della popolazione dalle zone interne a quelle litoranee. Si sono riempite di abitazioni, sovente abusive, coste rocciose rimaste intatte per secoli, dove per l’incombere delle montagne gli spazi adatti agli insediamenti sono assolutamente esigui. Tra le poche zone costiere protette vi è la riserva naturale del fiume Neto, sullo Ionio, che conserva piante (giunchi, salici) e uccelli tipici delle zone palustri. Maggiore attenzione è stata posta alle aree montane interne. Un parco (ripartito con la Basilicata) tutela il massiccio del Pollino; inoltre, sin dal 1968 è stato istituito il parco nazionale della Calabria, che include gran parte della Sila. FLORA E FAUNA Benché il manto forestale sia stato gravemente intaccato, nel complesso le attività umane – almeno sino a epoca recente – hanno operato poche trasformazioni nella vegetazione naturale, anche a causa del modesto popolamento della Calabria. A differenza di quanto si verifica di norma nell’Italia centromeridionale, in questa regione ha uno sviluppo relativamente limitato la macchia mediterranea, la tipica associazione di arbusti sempreverdi (erica, mirto, rosmarino, ginepro, alloro, lentisco): essa interessa i lembi generalmente esigui di pianura costiera. Più povera sul lato ionico, è invece rigogliosa sull’umido versante tirrenico, dove forma, alla quota submontana, una fitta boscaglia, comprendente anche lecci, querce da sughero, oleastri. Lungo le fiumare sono invece frequenti gli oleandri. Alle quote medie si hanno bei boschi di querce e castagni; segue, al di sopra dei 1000 metri, il piano del faggio, talora misto ad abeti e pini. I suoli cristallini dei rilievi calabri, freschi e poco permeabili, consentono la formazione di foreste veramente eccezionali per l’ambiente appenninico, con un ricco sottobosco. Tra le più interessanti specie di animali (alcuni dei quali introdotti o reintrodotti per ripopolamento) si annoverano daini, caprioli, cinghiali, volpi, gatti selvatici, lupi e, tra gli uccelli, numerosi rapaci, tra cui anche alcuni esemplari di aquile reali.
STORIA E TRADIZIONI LEGATI AL VINO
Parlare di vino in Calabria rimanda al ricordo di nonno Tommaso amante del buon vino e piccolo agricoltore che con la coltivazione della sua vigna di Pipizzati produceva un vino dal sapore un pò acido ed agre ma sinonimo di buone cose.
La coltura della vite viene praticata in Calabria sin dai tempi preistorici, esisteva sicuramente ancor prima che vi giungessero, intorno all’VIII secolo a. C., i primi coloni greci. Molte leggende fiorite intorno alla fondazione di città della Magna Grecia, tra cui l’antica Kaulon, fanno menzione della vite quale elemento sacrale.
Del resto la coltivazione dei vigneti in queste contrade era talmente intensa nell’età ellenistica che la Calabria fu detta “Enotria”, ossia terra del vino.
Si capisce quindi come il vino che si produceva in Calabria, oltre ad avere una considerevole importanza nell’economia dei tempi, era apprezzato e famoso per la sua qualità.
Caratteristica di quel vino pare fosse la forza ed il vigore, capace (si dice) di resuscitare anche i morti, ed il profumo intensissimo.
Le tavole di Eraclea danno un preciso valore ai vigneti del tempo in Calabria: un appezzamento di terreno coltivato a vigna valeva sei volte quello coltivato a cereali.
Pare che vi si coltivassero 150 vitigni diversi e tutti pregiati. Al dio Bacco erano innalzati ovunque templi, tra i quali famosissimo quello di Cremissa, odierna Cirò.
E si vuole appunto che il vino Cirò discenda in linea retta da quel vino di Crimisa che si somministrava agli atleti vittoriosi nelle gare, per cui (insieme ad un altro grande vino di Calabria, il Greco di Bianco) sarebbe il nettare più antico d’Italia. Non v’è dubbio d’altronde che anche il Greco di Bianco, sia di nobili ed antichissime origini: è il nome stesso a dirlo.
Si racconta che il vitigno sia stato portato nell’VIII secolo a. C. dai coloni greci che fondarono Locri Epyzefiri.
Narra la leggenda che la battaglia del fiume Sagra (VI secolo a. C.) tra i 20.000 Locresi-Reggini da una parte ed i 100.000 Cotroniati-Kauloniati dall’altra, venne vinta dai primi perché esaltati da copiose libagioni di vino Greco.
Ancora famosi in epoca romana i vini delle nostre contrade ed in particolare il Greco cui si attribuivano doti erotiche.
Vi sono in Calabria circa 55.000 ettari di terreno coltivato a vigneto di cui 38.500 a coltura specializzata con produzione annua che si aggira intorno a 1.800.000 ettolitri di vino.
Non molto se consideriamo che l’antica Enotria produceva la stessa quantità di vino dell’Alto Adige e meno delle Marche e di quasi tutte le altre regioni d’Italia.
Eppure la Calabria, per la sua collocazione geografica al centro del Mediterraneo dove il sole splende per 8 mesi l’anno e per la sua particolare conformazione, è in grado produrre vini che, pur provenendo dai medesimi vitigni si differenziano notevolmente, vini quasi sempre di altissima qualità, robusti e generosi.
In Calabria la massima produzione di vino è ad un livello decisamente artigianale e difatti ogni contadino vinifica da sé con criteri del tutto primitivi ed empirici.
Ecco perché i risultati di anno in anno sono i più disparati e non vi è una vera continuità nella qualità dello stesso tipo di vino.
Questo è il motivo della mancata diffusione dei nostri nel resto d’Italia. Ancora oggi sono poche le aziende che hanno la denominazione DOC, ma è in notevole incremento.
Il Cirò è uno dei pochi vini veramente industrializzato, il primo che ha chiesto ed ottenuto la denominazione d’origine controllata. Conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo e’ entrato a far parte di ogni cantina che si rispetti e sulle tavole di ogni buon ristorante. Per gli altri vini occorrerà attendere.
Di recente hanno ottenuto la denominazione d’origine controllata anche i vini Bivongi, Savuto, Donnici e Pollino.
Pur con notevoli differenze pedo-climatiche, il vigneto calabrese si rivela piuttosto omogeneo con una prevalenza di vitigni a bacca rossa tra cui primeggia il Gaglioppo che si unisce a due varietà di Nerello, al Greco Nero e ad altri vitigni, raggiungendo la maggioranza.
Il Gaglioppo è una buona base per uvaggi corposi: insieme a uve nere produce rossi intensi ed eleganti; accostato, invece, secondo una tradizione calabrese, a uve bianche offre ottimi vini da tavola. Tra i bianchi prevale il Greco Bianco che oggi viene vinificato dopo un leggero appassimento: il risultato è un ambrato vino da dessert.
I magnifici vigneti di quattro comuni in provincia di Crotone (Cirò, Cirò Marina, Crucoli e Melissa) producono un ottimo vino rosso Doc rinomato a livello internazionale, il Cirò, di colore rosso rubino, odore delicato e sapore vellutato, utilizzando per il 95% uve Gaglioppo e per il rimanente 5% uve Trebbiano Toscano e Greco Bianco presenti nei vigneti. Con uve della zona di Rogliano, Martirano, Conflenti e Nocera Tirenese si produce un altro rosso Doc, il Savuto, di sapore asciutto e pieno.
Altri Doc vengono prodotti con uve provenienti dai comuni di Melissa, Verbicaro, Civita, Saracena, Cassano Ionio, Castrovillari, Frascineto, San Vito di Luzzi, Bianco, Isola Capo Rizzuto.
I vini coperti da una Denominazione d’Origine Controllata in Calabria coprono il 20% circa della produzione totale che nel 2000 è stata stimata a 681000 ettolitri. Nella regione ci sono 12 vini Doc nelle differenti tipologie di rosso, bianco, rosato, riserva, superiore, ecc. I vini da tavola e Igt sono pochi, tuttavia una notevole quantità del vino calabrese è commercializzato sfuso.
Bianco, dolce e liquoroso è il vino Zibibbo prodotto a Pizzo e in altre località della Calabria; l’uva omonima da cui proviene è di origine orientale, a bacca bianca, con grossi acini che si fanno appassire: è un vino da dessert. A Bianco (RC) si produce, con uve passite, un altro vino pregiato utilizzato per accompagnare dolci e torte: il Greco di Bianco. Un buon moscato, inoltre, si trova a Frascineto, Spezzano Albanese e Saracena.
Naturalmente è necessario sottolineare la straordinaria originalità di alcuni vitigni propri di questa regione come il Gaglioppo, un vitigno antichissimo molto diffuso in Calabria, che presenta interessanti caratteristiche aromatiche tipiche.
Altri vitigni diffusi nella nostra regione sono il Trebbiano Toscano, il Greco, il Pecorello, il Malvasia, il Mantonico, il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, il Guarnaccia, il Magliocco Canino, il Sangiovese, ecc. Sono utilizzati anche vitigni importanti come il Cabernet Sauvignon, lo Chardonnay, il Merlot, il Pinot.
I vini rossi hanno sapore asciutto e corposo e sono adatti ad accompagnare i classici piatti rustici della cucina calabrese e le carni stufate. I bianchi hanno sapore delicato e sono indicati con piatti a base di pesce e formaggi freschi. I rosati hanno sapore fragrante e si abbinano a legumi e carni bianche.
Oggi la vinificazione avviene quasi in purezza, si anticipa la raccolta delle uve e si controlla la temperatura dei mosti: il risultato di tutti questi progressi è un vino interessante e compiuto, che si affianca ai numerosi prodotti meridionali degni di fama internazionale.
E’ da notare, inoltre, che in Calabria l’80% delle viti è lavorato ad alberello: questo conferma una produzione tradizionalmente indirizzata a una splendida gradazione alcolica.
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QUALCHE PROVERBIO
L’amuru ‘ncigna ccù lu cantu e finiscia ccù lu chiantu
L’amore inizia col canto e termina col pianto
Mazzi e panelli fannu i figlji belli
Per il bene dei figli a volte bisogna usare le maniere forti
Casa stritta e fimmina destra
Casa piccola, ma moglie capace
L’amuru luntanu è cumu l’acqua intra ‘u panaru
Amare da lontano è come mettere l’acqua in un paniere
‘A gallina si spinna doppu morta
La gallina si spenna dopo morta (l’eredità si ottiene dopo il morto)
‘A fortuna è fatta a rota: sempri gira e sempri vota
La fortuna è come una ruota: sempre gira e sempre ruota
Chi nun sà fari, nun sà cummannari
Chi non sa agire, non sa comandare
Vizzu i natura finu a sibùrtura
I vizi di natura li porti fino alla morte
A pècura rugnusa guasta ‘a mandra
La pecora rognosa rovina tutto il gregge
Na vaverna e na sumèra t’arribellanu ‘na fera
Una pettegola e una somara mettono in subbuglio il mercato
Quannu trasa lu vespùnu bona nova allu patrùnu
Quando entra il calabrone in casa porta fortuna
Occhiu mancu joca francu
Il tic dell’occhio sinistro è segno di buona giocata (fortuna)
Alìvu e ficu tràttalli ‘i nimìcu
Ulivi e fichi trattali da nemici, (potali abbondantemente)
Ad arvuru chi ‘un frutta ‘ccetta e focu
Ad albero che non frutta dagli accetta e fuoco. (taglialo!)
Ranu chinàtu massàru sarvàtu!
Spiga di grano pesante dei chicchi, agricoltore salvo (buon raccolto)
Chi zappa bonu megliu ricoglia
Chi zappa bene raccoglie meglio
Chi zappa fujennu coglia chianciendu
Chi zappa di corsa raccoglie piangendo (cattivo raccolto)
Ppì Sant’Ndria ‘u bonu massàru simminatu avìa
Per Sant’Andrea (30 Novembre) il buon contadino ha già seminato
Acqua ‘i Aprile ogni guccia ‘nu varrile
Acqua d’Aprile ogni goccia è un barile (di vino)
‘A neglia vascia ‘u malu tempu lassa
La nebbia bassa è indice di maltempo
Quannu lampa scampa, quannu trona chiova
Ai fulmini segue il sereno, ai tuoni la pioggia
Duràssa tantu la mala vicìna, quantu ‘a niva marzulina
Duri tanto la cattiva vicina quanto dura la neve di marzo
Quannu ‘u mari si lagna ‘a terra si vagna
Il mare agitato dice che la terra si bagnerà di pioggia
Sciroccu e levante, ‘na chiuvùta e ‘na vacante
Col tempo di Scirocco e di Levante, alla pioggerella segue l’acquazzone
‘U sangu juncia e lu ‘nteresse spacca
Il sangue unisce, l’interesse divide
Chine simmina spini si punge li pidi
Chi semina spine si punge i piedi
Cu parra d’arrètu arrètu è tenutu
Chi parla dietro, dietro è tenuto
Làrgu ‘i vucca, strittu ‘i pettu
Largo di bocca, stretto di petto (chi parla troppo non ha sostanza)
Mìscati ccù ri megli tui e facci ‘i spisi
Frequentati con chi è migliore di te e servili
Nè vistu, nè pigliatu ‘un po jiri carceratu
Non visto e non preso, non può andare carcerato
Alla mala vicina ‘a pitta cchiù bona
Alla cattiva vicina porta il dolce più buono
‘U voe chama curnùtu ‘u ciucciu
Il bue chiama cornuto l’asino
I vennari e di luni non si taglianu i spiruni
Di Venerdì e di Lunedì non si tagliano le unghie
Fà bonu e scòrdati, fà male e guàrdati
Fai il bene e dimentica, fai il male e guardati (dalle ripercussioni)
Jennaru siccu, massaru riccu!
Gennaio asciutto (privo di umidità), contadino ricco (Il freddo secco di gennaio rende ricco l’agricoltore)
Si marzu si ‘ncugna, ti fa cadi’ri l’ugna
Se marzo si inquieta , ti fa cadere le unghie (per il troppo freddo)
Chini ti sa, ti rape
Colui che ti conosce ti apre
Si vù assai mustu, zappa ‘a vigna ‘u misi d’agustu
Se vuoi molto mosto, zappa la vigna il mese d’agosto
Chi prima ‘un penza doppu suspira
Chi non riflette prima, sospira dopo
Alla cannilora à virata è fora
Alla Candelora l’inverno è già trascorso
Fortuna e cauci ‘nculu biatu chi ne tene
Fortuna e calci in culo (raccomandazioni) beato chi ne ha
I truoni è marzu risbiglianu i cursuni
I tuoni di marzo svegliano i serpenti (i forti richiami rimettono sulla buona via)
Durassi tantu la mala vicina, quantu dura la nivi marzolina
Duri tanto la cattiva vicina quanto la neve marzolina
Si aprili ‘un fussi intra l’annu, ‘un ci forranu danni
Se aprile non esistesse nell’anno, sarebbe evitato ogni danno
Surcu cummoglia surcu
Un nuovo solco nasconde il vecchio
Di venneri e di marti non si spusa, non se parte e non si dà principio all’arte
Venerdì e martedì non si contraggono nozze, non si parte e non si iniziano nuove attività
Né di Pasca ti ‘nzurari né di maju ciucci accattari
Non sposare a Pasqua e non comprare asini nel mese di maggio
Chi va derittu campa affrittu
Chi è onesto vive in miseria
Chi paga caru dorme ‘mparu
Chi paga caro dorme tranquillo
Quannu chijovi a S. Giovanni, bona notti alli castagni
Quando piove a San Giovanni, buona notte alle castagne
Storta va, diritta veni
Quello che va storto diventa diritto (tutto si accomoda)
Parica u culu te mangia a cammisa
Non ti accontenti mai
Quandu chiove cu u sule se maritano i cursuni
Quando piove con il sole si sposano i serpenti
Chi nun se gratta cu le mani sue u ‘ngnurito non gl’è passa
Se vuoi che le cose siano fatte bene te li devi fare da solo
Quando se ‘mbrigano i mulinari guardati a farina
Quando litigano i mugnai stai attento alla farina (I mugnai a Miglierina spesso per imbrogliare i propri clienti sul peso simulavano liti)
CALABRISELLA MIA
Calabrisella è la canzone tradizionale della Calabria, una sorta di inno regionale. Si dice che sia stato un siciliano, innamorato di una calabrese, a comporre questo canto per fare una serenata alla sua bella. Si racconta di una “Calabrisella” che si trova alla fontana a lavare i panni. Ci sono più o meno strofe, ma il contenuto riguarda sempre il tentativo di conquistare l’amore della ragazza inneggiando alle sue bellezze. Le versioni sono diverse e cambiano da località a località. Alcune parole sono differenti perché ogni paese ha un proprio dialetto. Alcuni termini e addirittura intere frasi si sono diversificati con il passar del tempo e per il fatto che, fino a non molti anni fa, i canti popolari venivano tramandati oralmente e quindi interpretati in più versioni.
Calabrisella mia
Nina ti vitti all’acqua chi lavavi…
E lu me cori si jinchiu d’amuri.
Mentre li panni a la sipala ‘ampravi
Io t’arrobbai lu megghiu muccaturi.
Calabrisella mia,
Calabrisella mia,
Calabrisella mia,
Facimmu amuri
Tirullalleru, lalleru lallà
‘sta Calabrisella muriri mi fa!
Quandu mu studiu jivi a la città di
Bedda non vitti a nudda com’a tia
Pensa ai cu pena su i nnamurati
E ‘nta stu muccaturi ti ciangia.
Calabrisella mia,
Sta vucca d’incantari
Calabrisella mia,
fammi baciari.
Tirullalleru, lalleru lallà
‘sta Calabrisella muriri mi fa!
Mo chi di la città jeu su turnatu
Mi guardi e mi sorridi malandrina
Dassaria tuttu lu meu dutturato
Sulu p’aviri a tia sempri vicina.
Calabrisella mia,
Daria la me vita
Calabrisella mia
Sulu pe tia.
Tirullalleru, lalleru lallà
‘sta Calabrisella muriri mi fa!
‘sta Calabrisella muriri mi fa!